<<< Questo post è disponibile anche come video su YouTube. >>>
Di Gerd Kommer e Alexander Weis
Questo blog post è la prima parte della nostra trilogia sul factor investing (Smart Beta Investing). Raccomandiamo quindi ai lettori interessati di leggere gli articoli “Integrated Multifactor Investing” e“The Pains of Factor Investing” pubblicati rispettivamente a giugno 2019 e a maggio 2020.
Nota: La base dei dati di questo articolo del blog è stata integrata a novembre 2021 con i dati relativi agli anni 2019 e 2020.
L'”investimento passivo” – ovvero una diversificazione molto ampia con fondi indicizzati neutrali rispetto al mercato su base Buy and Hold – è probabilmente una delle maggiori storie di successo mondiali nell’investimento nel mercato dei capitali degli ultimi 50 anni. Ma per quanto un’innovazione sia impressionante, ci sarà sempre qualcuno che, anche di fronte al suo grande successo, porrà ulteriori domande e indagherà ancora più a fondo. Questo è stato anche il caso dell'”investimento passivo” con fondi indicizzati neutrali rispetto al mercato negli ultimi vent’anni o giù di lì. (Nella letteratura specializzata, il termine “neutrale rispetto al mercato” è usato in modo diverso rispetto al presente articolo del blog e di solito si riferisce a strategie long-short che mirano a eliminare il rischio del mercato totale). I risultati delle ricerche condotte da diverse centinaia di economisti finanziari hanno portato negli ultimi decenni a una variante dell’approccio all’investimento passivo, ovvero il “factor investing”, spesso chiamato anche “Smart beta investing”.
Cosa sono i “fattori” o i “premi di fattore”? I premi di fattore sono fattori di rendimento e di rischio statisticamente identificabili in una classe di asset come ad es. le azioni, le obbligazioni o gli immobili. Essi spiegano gran parte della combinazione rischio/rendimento all’interno della classe di asset. Statisticamente, il rendimento e il rischio di un portafoglio titoli possono essere spiegati solo per oltre il 90% se si identifica e si misura la “Factor Exposure” in questo portafoglio, ovvero quanto un portafoglio è esposto a questi premi di fattore. Un confronto: statisticamente, il numero di ore che gli studenti dedicano allo studio per un esame di matematica spiega una parte considerevole della deviazione dei voti degli studenti dalla media della classe. In questo esempio, il fattore è il “numero di ore”. Altri fattori, come ad es. il quoziente intellettivo di uno studente, spiegano altre parti della deviazione statistica dalla media.
In questa prima parte della nostra trilogia del blog sul factor investing nella classe di asset azionari, ci concentreremo innanzitutto sulle basi. Nella seconda parte, che sarà pubblicata il mese prossimo, descriveremo come integrare al meglio i premi di fattore nel proprio portafoglio e gli aspetti da tenere presente.
Il premio di fattore più noto per le azioni è il “premio small size”, spesso chiamato semplicemente “premio sieze” o “premio small cap”. In parole povere, si afferma che le piccole società quotate in borsa (piccole in termini di capitalizzazione del mercato) producono in media rendimenti azionari più elevati rispetto alle grandi società o al mercato totale (si veda la tabella seguente per il periodo 1975-2020).
Attraverso una sovraponderazione puramente meccanica e disciplinata dei premi di fattore in un portafoglio, è possibile ottenere un rendimento aggiuntivo al netto dei costi e delle imposte rispetto al mercato totale; da qui il termine “premio”. Per quanto riguarda le small cap, “sovraponderare” significherebbe aumentare la loro quota percentuale nel portafoglio oltre la quota che le small cap hanno in un “portafoglio di mercato totale” neutrale (la percentuale di small cap è pari a circa il 15% della capitalizzazione del mercato totale del mercato azionario mondiale). “Sovraponderare” sembra più complicato di quanto non sia, perché tale sovraponderazione può essere ottenuta semplicemente acquistando uno Small-Cap-ETF.
L’exposure (esposizione) al premio per le small cap non è quindi quella di chi ha nel proprio portafoglio small cap in “misura normale”, ma solo quella di chi ha nel portafoglio small cap in misura maggiore rispetto all’universo della classe di asset sottostante.
Il factor investing è essenzialmente un investimento passivo, ovvero la rinuncia allo “stock picking” attivo (selezione mirata di singole azioni; più in generale, “asset picking”) o al “market timing” attivo (entrata e uscita tattica da interi segmenti di mercato).
Il factor investing si differenzia dal tradizionale investimento passivo per un aspetto importante. Con il factor investing, i singoli titoli del portafoglio non sono ponderati esclusivamente in base alla capitalizzazione del mercato, ma questo principio di ponderazione viene attenuato, ad es. attraverso la sovraponderazione di azioni Small Cap.
Di seguito sono elencati i premi più noti e, a nostro avviso, meglio consolidati nella letteratura scientifica:
- Small Size: Le piccole società per azioni (“Small Caps”) tendono ad avere rendimenti più elevati rispetto alle grandi (“Large Caps”).
- Value: Le società valutate favorevolmente (“azioni Value”), misurate in base a indicatori come il Price/Earnings ratio, tendono ad avere rendimenti più elevati rispetto alle società con valutazioni elevate (“azioni Growth”).
- Quality o Profitability: Le società di alta “qualità”, misurate da indici di redditività come il rapporto tra utili e libri contabili o da indici di indebitamento – tendono ad avere rendimenti più elevati rispetto alle società di bassa qualità.
- Momentum: Le società che di recente hanno avuto rendimenti relativamente elevati tendono ad avere rendimenti più alti per un periodo di tempo limitato e viceversa.
- Political Risk: Le azioni esposte a un elevato rischio politico (soprattutto le azioniq dei Paesi emergenti) tendono ad avere rendimenti più elevati rispetto a quelle che lo sono meno.
- Low Investment o Asset Growth: Le azioni con una crescita del totale di bilancio relativamente bassa tendono ad avere rendimenti più elevati per un periodo di tempo limitato rispetto a quelle con una crescita del totale di bilancio elevata.
La tabella seguente mostra la sovraperformance storica degli indici di fattore rispetto al rispettivo benchmark neutrale rispetto al mercato. Questa versione della quantificazione dei premi di fattore è particolarmente conservativa e viene chiamata “premi di fattore long-only”. Di seguito spieghiamo di cosa si tratta.
Tabella: Panoramica dell’entità dei diversi premi di fattore annuali dal 1975 al 2020 (46 anni) e dei periodi parziali in questi 46 anni per il mercato globale (“premi long-only”)

Fonte: MSCI, Dimensional Fund Advisors, Deutsche Bundesbank. Vengono mostrate le serie di dati disponibili più lunghe (per singoli Paesi esistono serie di dati più lunghe). ► I premi di fattore sono “premi di fattore long-only” (si vedano le spiegazioni di seguito) basati su medie aritmetiche. ► Tutti i dati sono al lordo dei costi e delle imposte. ► I rendimenti storici non offrono alcuna garanzia che si ripetano su scala simile in futuro. ► Gli studi scientifici sui premi di fattore storici giungono a risultati leggermente diversi a seconda del Paese o della regione, del periodo di tempo e della metodologia di ricerca specifica.
Il lettore attento noterà immediatamente che molti premi di fattore non sono stati positivi in ogni singolo periodo. È quindi del tutto possibile, persino probabile e necessario, che un determinato premio di fattore sia negativo per diversi anni o decenni, poiché i premi di fattore sono premi statisticamente attesi. In questo contesto, atteso significa che, sebbene si possa prevedere un premio positivo per un periodo sufficientemente lungo, esso fluttua fortemente nel breve e medio termine. Se il premio non fosse soggetto a forti fluttuazioni imprevedibili nel breve e medio termine, sarebbe già stato “arbitrato” da tempo, ovvero sarebbe scomparso, perché in caso di elevata stabilità tutti comprerebbero solo queste azioni. I premi devono quindi essere inaffidabili nel breve e medio termine.
La figura seguente illustra graficamente questo potenziale di fluttuazione. Il grafico mostra le realizzazioni annuali dei cinque premi di fattore sopra menzionati nel periodo dal 1995 al 2020. L’asse verticale corrisponde all’importo percentuale dei premi in un determinato anno, mentre l’asse orizzontale rappresenta il trascorrere del tempo.
Figura: Andamento annuale dei premi di fattore long-only dal 1995 al 2020

Fonte: Calcoli propri basati su dati grezzi di Dimensional Fund Advisors e MSCI.
Osservando più da vicino le barre, risulta ancora una volta evidente che singoli premi di fattore possono sottoperformare il loro benchmark nel corso degli anni (barre negative). Lo stesso vale anche per il cosiddetto premio equity, ovvero il rendimento supplementare del mercato azionario rispetto al mercato monetario “privo di rischio” (il “rendimento del libretto di risparmio”). Il premio equity può anche essere nullo o negativo per dieci anni o più. Lo dimostrano i dati degli ultimi 120 anni per un gran numero di Paesi, tra cui Germania e Stati Uniti. Per attenuare l'”inaffidabilità” dei premi di fattore, è quindi consigliabile diversificare tra più premi, ossia non puntare tutto su un unico paniere.
Ancora una parola sul concetto “long-only” di cui sopra: i premi di fattore possono essere calcolati come premi long-only o long-short. Con i premi di fattore long-short, le azioni con un’elevata incidenza della caratteristica desiderata (ad es. Small Size) vengono sovraponderate e le azioni con un’elevata incidenza della caratteristica opposta (in questo caso Large Size) vengono vendute allo scoperto [1]. I premi di fattore long-only si riferiscono solo alla parte “long” (parte di acquisto) dei premi di fattore; in questo caso non si ipotizzano vendite allo scoperto. I premi di fattore long-short sono di conseguenza più elevati dei premi long-only. Dato che i fondi UCITS (“fondi comuni”) e quindi tutti gli ETF distribuiti in Germania non sono normalmente autorizzati a effettuare vendite allo scoperto, ci concentriamo sui premi di fattore long-only.
Per comprendere i premi di fattore è importante tenere conto, tra l’altro, dei seguenti aspetti:
- i diversi premi di fattore non sono “additivi”. Dato che i diversi premi di fattore si influenzano vicendevolmente, i rendimenti di più premi di fattore non possono essere semplicemente sommati. Queste interazioni non solo variano da premio a premio, ma possono essere sia positive che negative. Ciò significa che i diversi premi di fattore possono rafforzarsi o indebolirsi a vicenda. Dal momento che due premi dati hanno di solito una correlazione [2] minore di uno, l’inserimento di più premi di fattore nel portafoglio consente di ottenere vantaggi di diversificazione che riducono il rischio, il che non deve essere considerato uno svantaggio, ma piuttosto un effetto collaterale desiderabile del “raccolto” di più premi di fattore. Ma ne parleremo più approfonditamente nella seconda parte della nostra serie dedicata al factor investing.
- Un’altra implicazione della volatilità dei premi di fattore è che si dovrebbe mantenere la rotta intrapresa anche se i premi selezionati sono negativi per un periodo di tempo prolungato. Come previsto, prima o poi torneranno ad essere positivi. Nella media di lungo periodo, sono positivi in tutti i casi per definizione (e anche nei dati storici).
- Lo sfruttamento dei premi di fattore costa denaro rispetto a un investimento neutrale rispetto al mercato. Tuttavia, i costi aggiuntivi sono più che compensati dai premi lordi (premi al lordo dei costi).
- I premi di fattore non confutano la nota EMH (Efficient Market Hypothesis, teoria dei mercati efficienti), almeno nella sua forma base, come viene ripetutamente affermato dai media o da Internet. Il “padre dell’EMH”, Eugene Fama, è probabilmente anche il ricercatore più meritevole quando si parla di premi di fattore. L’EMH dice solo che non è possibile battere sistematicamente il “mercato” (rendimento della classe di asset) al netto dei costi e del rischio con le informazioni disponibili al pubblico. Questa tesi è molto ben supportata dai dati empirici degli ultimi 50 anni ed è compatibile con l’esistenza di premi di fattore.
- Il factor investing è ancora un “investimento passivo”? A nostro avviso, questa domanda è inutile e troppo “ideologica”. Il vero investimento “passivo” non esiste comunque. Anche l’investitore più passivo deve costantemente prendere decisioni ed è quindi “attivo” in una certa misura. È ovvio che il mercato azionario globale non è del tutto omogeneo, ma è costituito da alcuni “sotto-segmenti di rischio-rendimento” statisticamente identificabili. I fattori definiscono e descrivono questi sottosegmenti. In generale, il factor investing è ovviamente più “attivo” dell’investimento passivo neutrale rispetto al mercato.
Quale andamento avranno in futuro i premi di fattore e come è possibile ipotizzare che i valori empirici storici, se correttamente interpretati, siano applicabili anche al futuro? Naturalmente, non è possibile rispondere a questa domanda con una certezza del 100%, come quasi sempre accade nelle discipline delle scienze sociali. In linea di principio, questo vale anche per il livello di rendimento “normale” di tutte le classi di asset senza premi di fattore: azioni, investimenti fruttiferi, immobili, metalli preziosi, materie prime o arte. In nessun caso è possibile prevedere con assoluta certezza l’ammontare dei rendimenti assoluti o relativi attesi nei prossimi 20 anni o oltre. I premi di fattore non fanno eccezione in questo caso.
Se in futuro tutti i premi di fattore aggiunti al portafoglio dovessero azzerarsi, la perdita dell’investitore (i cosiddetti “costi di opportunità”) consisterebbe solo nei costi di prodotto attualmente più elevati di circa 0,3 punti percentuali dei “fondi Smart beta” rispetto ai fondi indicizzati neutrali al mercato. Ipotizzando la scomparsa di uno o due dei premi di fattore in futuro, ciò comporterebbe una riduzione del rendimento supplementare, ma non una sottoperformance del portafoglio dei fattori. Nel complesso, la sovraperformance attesa grazie all’impiego dei premi di fattore compensa ampiamente i loro costi aggiuntivi.
Riepilogando: i premi di fattore sono in grado di spiegare in larga misura il rapporto rischio/rendimento di un portafoglio azionario, in misura maggiore rispetto ad altre caratteristiche oggettive come l’appartenenza al settore, il rendimento da dividendi o caratteristiche soggettive come la qualità del management o il rapporto di una società con determinati sviluppi macroeconomici (tassi d’interesse, inflazione, crescita economica, ecc.).
A nostro avviso, una determinata forma di sovraponderazione dei premi di fattore principali consentirà in futuro di ottenere un rendimento supplementare atteso rispetto al mercato totale compreso tra uno e un punto e mezzo percentuale all’anno al netto dei costi (storicamente, questa sovraperformance è stata significativamente superiore – si veda la tabella in questo articolo). A nostro avviso, i premi meglio documentati sono Small Size, Value, Quality, Momentum e Political Risk. I singoli premi di fattore non “funzionano” in modo affidabile in ogni anno e hanno una correlazione inferiore a +1, motivo per cui ha senso diversificare su più premi.
Nella seconda parte di questa serie dedicata al factor investing affronteremo la questione di come integrare al meglio più premi di fattore nel proprio portafoglio. In essa approfondiremo le diverse possibilità di implementazione del Multifactor Investing (si veda l’articolo del nostro blog Multifactor Investing integrato).
È convinto del factor investing e desidera un’implementazione semplice e comoda? Abbiamo la soluzione 1-ETF di Gerd Kommer: l’L&G Gerd Kommer Multi-factor Equity UCITS ETF. Per saperne di più >
Note finali
[1] Vendita allo scoperto — in inglese short selling: la vendita di un titolo (o di asset in generale) che lo short seller (venditore allo scoperto) non possiede ancora al momento della vendita T0, ma che ha preso in prestito a titolo oneroso da una terza parte. Se il periodo di prestito termina qualche settimana o mese dopo, al momento T1, il venditore allo scoperto deve restituire il titolo al prestatore. Per farlo, il venditore allo scoperto deve ora acquistarlo sul mercato libero. Il venditore allo scoperto spera che il prezzo di mercato del titolo in T1 sia inferiore a quello in T0. Ciò gli permetterebbe di ottenere un profitto. Egli specula quindi sul calo dei prezzi.
[2] La correlazione è una misura dell’interazione tra due variabili casuali e può assumere valori compresi tra -1 e +1. Una correlazione di -1 o +1 significa una correlazione perfettamente negativa o positiva, mentre una correlazione di 0 significa che non c’è alcuna interazione o solo un’interazione casuale. Un esempio di correlazione positiva è il numero di calorie consumate da una persona e il suo peso corporeo: un numero maggiore di calorie tende a determinare un aumento del peso corporeo.
Letteratura
Baltussen, Guido; Swinkels, Laurens; Van Vliet, Pim (2019): “Global Factor Premiums”; disponibile su SSRN: https://ssrn.com/abstract=3325720
Berkin, Andrew; Larry Swedroe (2016): “Your Complete Guide to Factor-Based Investing. The Way Smart Money Invests Today”; BAM Alliance Press; 358 pagine.
Gerd Kommer (2018): “Souverän Investieren mit Indexfonds und ETFs. Wie Sie das Spiel gegen die Banken gewinnen”; 5° edizione; Campus 2018. 410 pagine.
Kommer, Gerd; Weis, Alexander (2019): “Integrated Multifactor Investing”; articolo del blog; giugno 2019; link: https://www.gerd-kommer-invest.de/integriertes-multifactor-investing/
Gerd Kommer, Gerd; Weis, Alexander (2020): “The Pains of Factor Investing”; articolo del blog; maggio 2020; link: https://www.gerd-kommer-invest.de/pains-of-factor-investing/
Momentum-Effekt: Dolvin, Steven; Foltice, Bryan (2016): ” Where Has the Trend Gone? An Update on Momentum Returns in the U.S. Stock Market”; riferimento Internet: https://papers.ssrn.com/sol3/papers.cfm?abstract_id=2813333.
Political-Risk-Effekt: Pàstor, Luboš; Veronesi, Pietro (2013): “Political Uncertainty and Risk Premia”; in: Journal of Financial Economics; volume 110; edizione 3
Profitability-/Quality-Effekt: Asness, Clifford e altri. (2013): “Quality Minus Junk”; riferimento Internet: https://www.aqr.com/library/working-papers/quality-minus-junk
Effetto Small Size: Shi, Wenyun; Xu Yexiao (2015): “Size Still Matters!”; riferimento Internet: http://www.efmaefm.org/0EFMAMEETINGS/EFMA%20ANNUAL%20MEETINGS/2015-Amsterdam/papers/EFMA2015_0198_fullpaper.pdf
Effetto value: Zhang, Lu (2005): “The Value Premium”; in: The Journal of Finance; vol. 60; edizione 1